mercoledì 10 febbraio 2016

Chiedimi di essere felice

"Tu sei felice?"

Il talento per le domande importanti lo hai sempre avuto: hai cominciato che avevi tre anni, quando in auto, sulla strada per il mare, dal seggiolino di dietro, mi arrivò la domanda: "Ma perché tu e la mamma vi siete lasciati?".

Il bello è che poi non ascolti le risposte, o fai solo finta perché non ti piacciono, è da vedere.

Comunque: io no, non sono felice. Ma ci sono cose che mi fanno felice, tipo stare con Cristina, o stare con voi (intesi come figli).

"E che cosa ti renderebbe felice?"

Sapere che, domani che sarete adulti, sarete felici voi, o almeno sereni. Poter vivere in amore con Cristina gli ultimi anni della mia vita.

"Ma non c'è una cosa in particolare che vorresti fare?"

Dissolvenza onirica.

Per uno che per tutta la vita ha perseguito la bellezza del gesto a prescindere dal suo risultato (ma sotto sotto era convinto che la bellezza del gesto dovesse necessariamente portare al risultato), organizzare un concerto one shot è una tortura: settimane di preparazione, coordinamento, pubbliche e private relazioni e poi tutta la bellezza si esaurisce nell'oretta e poco più che durerà l'esibizione. Però ho fatto in modo da ridurre al minimo le potenziali seccature e contrarietà: per esempio, ho scelto la data in funzione della disponibilità del teatro, e mi son preso tutto il tempo per scegliere il repertorio e conseguentemente i miei comprimari, a cui ho assegnato un ruolo in modo insindacabile. Sticazzi se si troverà a dover suonare insieme gente a differenti livelli di preparazione: questo è il mio concerto e si fa necessariamente come dico io, quindi suona chi dico io, quando dico io.

Non so un cazzo di regia, quindi mi son dovuto affidare a un professionista che ha curato le luci e la messa in scena. Gli ho spiegato cosa si suona, chi suona, chi deve essere messo in evidenza nei vari momenti e lui ha fatto tutto il resto. Gli ho detto: niente di pacchiano, solo belle luci.

Sai qual è stato il problema maggiore? Non ho mai incontrato un tastierista davvero brillante e che sapesse contemporaneamente suonare con gli altri. Deve dipendere dal fatto che possono suonare fino a dieci note alla volta: già le sei dei chitarristi son troppe, figuriamoci dieci. L'ego deborda e rende impossibile ogni interazione. Così, cerca che ti ricerca nella memoria, son finito per ricordarmi il nome di Alessio, un tastierista che avevo conosciuto come sostituto in un gruppo di liscio e con cui ho poi fatto le prove per un gruppo che non è mai decollato. Simpatico, megalomane come tutti i tastieristi, ma anche disponibile a fare la sua parte disciplinatamente e stop.

Per i chitarristi, ovviamente, imbarazzo della scelta, anzi: imbarazzo del pezzo, perché l'assolo di Comfortably numb lo volevano fare tutti e non è che posso fare il pezzo quattro volte o farlo durare mezz'ora perché tutti vogliono fare l'assolo. Così ho deciso che, quando si poteva, si facevano quattro/otto battute ciascuno, e tutti zitti. Quello di Money l'ho lasciato a Kino per intero, poi a Roberto e Mirko ho affidato la sezione jazz della faccenda e ho fatto scegliere a tutti in quali pezzi fare la seconda chitarra.

Al basso ho chiamato Paolo: un bassista per tutte le stagioni e per tutti i generi.

La batteria, ovvio che la suonasse Giacomo, sempre e comunque, a prescindere dallo stile. Dopo anni di studio e di pratica, è diventato una certezza solida come roccia.

Scelta la band, dovevo scegliere il repertorio, in modo che ci fosse spazio per tutti e soprattutto che la cosa non diventasse troppo celebrativa e stuccosa. quindi, pochi pezzi ma mirati. Ho pensato di aprire in trio, con me al basso e Kino alla chitarra, con un bel fuoco d'artificio, vale a dire Red dei King Crimson. Non lascia alcuno spazio alla creatività, visto che non ci sono assoli, ma è un pezzo che richiede un'attenzione certosina per non cadere nelle trappole degli accenti che si spostano. Inoltre, è fuoco assoluto, anche se mediato da tanta cerebralità. Puro distillato di Fripp.

Lo devo dire, che è stato il pezzo che abbiamo provato di più, prima che fosse considerato suonabile? Mica tanto per la sua complessità, ma perché Kino voleva essere assolutamente impeccabile, e voleva che lo fossimo anche noi. Una volta sul palco, però, su il volume e tutti a casa.

Finito quello, Kino ha lasciato il posto a Mirko e Roberto, mentre Alessio è salito sul palco delle tastiere, per suonare Spain di Chick Corea, in una versione più vicina a quella live di Stevie Wonder che all'originale, ma mica potevamo far ammosciare tutto l'uditorio con un pezzo in punta di strumento! Spain ha questo difetto: che una volta che lo cominci, non vorresti più smettere di suonarlo, e non è stato facile rinunciare a proseguire negli assoli, anche perché era già evidente dall'inizio che eravamo tutti in stato di grazia, senza preoccupazioni per la riuscita e comunque preparati come mai.

E, visto che eravamo tutti belli caldi e preparati, ho anche scelto un pezzo per far fare bella figura a Giacomo e quindi ho proposto di fare Moby Dick dei vecchi cari Zep, che non è cantato e quindi nessuno ha dovuto fare figuracce in compenso. Durante le prove, Giac ha provato un assolo sinceramente strepitoso, e gli applausi che ha preso sono stati la giusta ricompensa.

Poi, ho deciso che eravamo i Pinchi Flòidi e mi son detto: sticazzi: tutto Dark Side e Comfortably Numb a mò di bis - Run Like Hell glielo risparmiamo - con tre chitarristi fissi sul palco che si alternano nei soli e nell'accompagnamento - tanto, con la quantità di sovraincisioni che ci sono nel disco, c'è lavoro per tutti.

A te ho fatto fare la corista e anche cantare The Great Gig in the Sky: la chitarra che hai voluto in regalo anni fa, non hai mai imparato a suonarla; in compenso, sei sempre stata intonata e, da quando ti sei quasi strappata le corde vocali durante l'ennesimo litigio con tua madre, ti è rimasta una noterella rauca nella voce che attizza i maschi e rende il tuo timbro singolare e aggressivo. La presenza scenica non ti manca, quindi ti ho piazzata al centro del palco con l'unica luce puntata su di te. Quando sei salita alla ribalta, durante l'intro di pianoforte, ti son venuto incontro e ti ho baciato sulle labbra (lo facciamo ancora, dopo tutti questi anni), poi ti ho accompagnata al microfono, lasciandoti la scena.

Chi ha voluto (e potuto), si è portato i suoi strumenti: io la mia Strato l'ho noleggiata - è da tanto che non possiedo una chitarra professionale - ma non ne ho patito. Certo, le mani son quel che sono, ma ero tranquillo perché sapevo di non essere da solo e di essere ben sostenuto da tutti; anche la voce ha fatto la sua parte, e comunque mi ero preparato nei giorni precedenti, tenendo la voce allenata senza doverla sforzare, e del resto l'estensione di Gilmour non è esattamente fuori portata.

Il lato b di Dark Side va via liscio come l'olio: superate le asperità di Money, con il suo tempo in 7/4 e l'assolo di sax a cui ha pensato un oscuro (per me) ma bravo amico di Mirko, si aprono le pianure di Us and Them e di Any Colour You Like: ci si rilassa e ci si gode l'atmosfera, e dopo esserci scambiati e sovrapposti gli assoli, si sfocia in Brain Damage, che sembra sempre una canzoncina innocua, se non si ascolta il testo, e fa un bel pieno con tutte le voci spiegate, compresa la tua.

Si rallenta di un nonnulla il tempo per entrare in Eclipse, che abbiamo pure cantato tutti insieme, prima all'unisono e poi in coro, e ne sono stato felice perché il testo mi ha sempre messo inquietudine, specialmente la quintina

All that is now
And all that is gone
And all that's to come
And everything under the sun is in tune
But the sun is eclipsed by the Moon

che è un po' il riassunto della mia vita, se vuoi: tutto va bene - andrebbe bene - e sarebbe perfettamente sincronizzato, ma.

C'è sempre stato il ma, di mezzo, tra i miei desideri e la loro realizzazione: quello che fa di una vita compiuta una vita incompleta, approssimata. per cui 'sto concerto deve essere perfetto, perdio.

Contenti per il senso di compiutezza della perfetta cadenza finale della canzone, lasciamo sfumare la registrazione presa dal disco originale (There is no dark side of the moon, really. Matter of fact, it's all dark) e anche scrosciare un po' di applausi, e senza troppi indugi entriamo nel gran finale di Comfortably Numb. Non son particolarmente felice di finire con questo pezzo, che non mi rappresenta molto, ma mi serviva un pezzo che finisse con un mucchio di assoloni per poter lasciare il palco e prendermi gli applausi - tipo quando nel calcio si viene sostituiti a cinque minuti dalla fine - e poi lasciare i riflettori a chi mi ha aiutato in questa impresa, tutti felici e contenti. Uscendo, ho lasciato la mia chitarra a te, che hai continuato a far finta di suonare, scalmanandoti felice.

Fin qui, il racconto della serata come lo ha vissuto e poi immaginato mio padre. Stupefacente notare come abbia descritto le cose che poi sono accadute nei minimi particolari, compresa Matilde che fa finta di suonare la chitarra, tranne pochi dettagli che non poteva immaginare: tipo che ho rinunciato al mio assolo su Moby Dick così come lo avevamo provato per farne uno più bonhamiano: mi son tenuto basso per lasciare a papà il ruolo di protagonista. Solo dopo la sua scomparsa, abbiamo rovistato tra le carte e i dischi rigidi, e finalmente su internet, dove è sbucata fuori la bozza di questo post, lasciato appositamente incompiuto.

Non ho scritto scomparsa a caso, perché davvero, di papà non abbiamo mai più trovato la minima traccia, in nessun luogo fisico o tracciabile attraverso la rete. Quando è uscito dal palco, abbiamo semplicemente pensato che dovesse far pipì, o che ci lasciasse sfogare per prendere i nostri applausi, per poi tornare alla fine del pezzo e salutare tutti. Invece, si è letteralmente dissolto, lasciandoci tutti con un palmo di naso. Che posso dire? Un'uscita di scena (in ogni senso!) nel suo più puro stile. Non so dire a quanti mancherà; di sicuro mancherà a tutti noi che eravamo sul palco con lui quella sera ma - ed è questo il senso del suo gesto - possiamo vivere anche senza di lui.

venerdì 20 marzo 2015

Fine delle trasmissioni

Ne ho piene le palle.

(mi raccomando, non vi strappate i capelli)

Potrebbe quasi essere comico

Il piano B rischia di essere abortito prima ancora di essere concepito.

lunedì 16 marzo 2015

Vedi, fratello

Vedi, fratello che mi parli di persone ammirevoli che ce la fanno nonostante: quelle persone le ammiro anche io, e qualche volta mi ci son pure sentito, come loro. Magari per un po' mi son pianto addosso, ma dieci minuti, giusto il tempo di commiserare il fatto che nemmeno stavolta è andata come speravo, e posso invocare l'attenuante che son circa vent'anni che non è andata come speravo? Ma poi mi sono alzato dalla mia sediolina, e via, verso nuove incredibili avventure. O verso nuove sòle, chi mai può dirlo? In ogni caso, ti passo la critica, perché non ci vediamo da tanto.

Vedi, fratello che mi inciti indirettamente, con le parole che dici a te stesso quando proprio non va - e lo so che le stai dicendo a me ma fai finta perché c'abbiamo il nostro bel vissuto da permalosi e ci vuol niente per scatenare il vaffanculo (ma io ormai l'ho quasi riposto nel cassetto segreto) - io ti ringrazio anche per quelle parole, pure se mi si attagliano poco, perché io amo amare, e lo faccio ogni qual volta ne ho l'opportunità - figurati che ogni tanto porto pure i miei esperimenti culinari ai miei colleghi, perché anche se non vinceranno mai il premio nobel per la pace, son bravi cristi e a conti fatti sono i colleghi migliori che ho avuto. E continua a piacermi uscire, veder qualcuno e fare due chiacchiere, magari commentando uno spettacolo. Mi piace addirittura star mischiato in mezzo a gente con cui c'azzecco sega e che so che non conoscerò mai, ma mi sento un po' parte della festa anch'io, solo perché siamo là per lo stesso motivo. In fondo, ci vuol poco a farmi sentire parte di qualcosa. In ogni caso, ti passo l'incitamento, perché è da tanto che non ci vediamo.

Vedi, fratello che mi mandi le parole famose di personaggi che dovrebbero fare da esempio per tutti noi, nel mio piccolo son circa trent'anni (escludendo quelli precedenti, in cui mi son lasciato vivere aspettando lo sparo dello starter) che combatto la mia piccola guerricciola per affermare il diritto alla mia personale dignità, un sentimento che deriva dalla consapevolezza di possedere quella titolarità di pensiero di cui già: una guerra in cui ho vinto e perso battaglie e che ogni volta che posso insegno ai miei figli, manco fossi Sun Tzu; emergere dalla mediocrità è di per sé una guerra e, una volta che hai deciso da che parte stare, per quanti ne troverai simili a te, ogni battaglia la combatti tu solo contro il resto del mondo. E anche se hai fede estrema, ogni tanto il passo si fa incerto e il ginocchio trema. Ma non si piega, quello no. Sempre meglio morire in piedi che vivere in ginocchio. Ma ci può stare che tu pensi che io non abbia più voglia di combattere e che il mio non-fare, non-essere, sia una scelta di autocommiserazione invece di una forzatura indotta. Anche io cerco di salvare capra e cavoli, finché si può: quando non si può più, vedo cosa posso sacrificare per riportare a casa almeno la pelle. Non sono uno stratega, è già miracoloso che io riesca a concepire un piano A, figurati se posso concepirne uno B. Ma quando il piano A fallisce, mi rimetto al tavolo, consulto i possibili piani di guerra e improvviso un altro attacco.

Io non mi arrendo
Mi avrete soltanto
Con un colpo alle spalle

Ma ci può stare che tu lo pensi, dicevo, perché non ci vediamo da tanto, e ci sentiamo poco, e male.

Per questo è il caso che mò ci vediamo, e parliamo, perché tu non pensi che io sia diventato uno diverso da quello che amavi.

Cos'Ha Frances?

Via via che le immagini scorrevano sullo schermo, mi dicevo: "Una come questa, l'ammazzerei", e non solo adesso che son diventato un vecchio misantropo: anche fossi stato suo coetaneo, avrei perlomeno fatto di tutto per non cadere nel cono di luce che si proietta intorno (e possibilmente spegnerlo, o almeno diminuirne il wattaggio). D'accordo che parlare tanto è lo stesso che non parlare affatto, è comunque il sintomo di un disagio, però, mamma mia d'o carmn...

Al di là della personale simpatia o antipatia per i personaggi (onestamente, tutti quel genere di persona che mi danno più sui nervi), il film è ben riuscito e Greta Gerwig è proprio brava a dare spessore a un personaggio che uno spessore lo ricerca annaspando, vivendo della luce di sé riflessa negli altri, anzi, nell'altra, l'unica che le corrisponde in tutto, fuorché nei capelli.

E sì, il film ormai ha un paio d'anni, ma qua s'è potuto vedere solo adesso - e meno male! E comunque, cinema+pizza 10 euri, tutta la vita!! Vedi che ogni tanto succede qualcosa purecquà.


sabato 14 marzo 2015

Volevamo solo farci due risate

Voglio dire, non ci aspettavamo una prova da Oscar, ma nemmeno una puttanata come si è rivelata. Pensare che è stata realizzata con il contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Rabbrividiamo. Brrr.

Il livello di recitazione (?) è imbarazzante, le battute penose, la sorpresa... ma dov'era?

Boh, cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno e always look at the bright side of life: Valentina Lodovini è tanta roba, e nel corso delle riprese, a Ornella Vanoni non si è strappata la faccia.

- Però potrebbe essere una buona idea, farsi un compagno immaginario perfetto.
- Già, ci stavo pensando anche io.
- Poi potremmo anche organizzare un'uscita a quattro!
- No, pessima idea: col culo che abbiamo, ci mollano per mettersi insieme loro due.

lunedì 9 marzo 2015

sei anni insieme


quanto eri bella, mannaggiatté.

addio (lacrimuccia).

giovedì 5 marzo 2015

recensione lampo

automata.

e però lo fate apposta, a mettere un titolo che fa rima con cazzata e con cagata.

lunedì 2 marzo 2015

appunti?

Io sto parlando di titolarità di pensiero. Tu ne hai una? Se sì, usala, perché noi siamo ciò che prevalentemente pensiamo di essere e tanto vale anche per la nostra vita [...]

certo che ne ho una, fratello, sai bene quanto retorica sia la tua domanda, visto che, da quando mi conosci (e faranno quarant'anni tra un po'), altro non ho fatto che rivendicare la titolarità e la singolarità del mio pensiero. sul seguito alla domanda ho invece qualche perplessità, perché che noi siamo ciò che prevalentemente pensiamo di essere può forse essere un assunto valido per qualcuno che di pensiero vive in maniera quasi squisita; un po' meno per chi deve fare i conti con il mondo materiale. penso a uno stephen hawking: potremmo ridurre la definizione di quell'essere umano riferendoci solo alla sua apparenza, o alla sua capacità di compiere un lavoro manuale? eppure è una delle menti più eccelse che abitino il pianeta, e di sicuro, se dovessi definire stephen hawking, sceglierei il suo pensiero come la sua parte più rappresentativa. tra un minus habens e hawking c'è una gamma vastissima di intelligenze pensanti e io credo di potermi porre in una posizione intermedia, al massimo un tantino più su della media, per cui ciò che prevalentemente penso di essere raramente, nel corso della mia vita, ha coinciso con la mia percezione di me e anche della percezione che gli altri hanno avuto di me, con ciò intendendo il mio ruolo sociale pubblico e privato. ciò che siamo è più la somma di queste percezioni, ciascuna con un suo peso specifico, ma vorrei aggiungere che molto spesso noi siamo anche ciò che facciamo, l'impronta che di noi lasciamo sul mondo e sulle persone, l'utilità - per quanto sembri brutto usare tale termine - che rappresentiamo. in questo senso, allora, mi identifico più con le mie aspirazioni, o meglio mi ci identificavo finché ne ho avute, e rivederle costantemente al ribasso per decenni di certo non aiuta ad aumentare il peso della percezione di sé.